Nella vita ognuno di noi ha incontrato queste due figure: il leader e il self made man.

Simili, con delle caratteristiche in comune ma dalle differenze sostanziali.

Self Made Man Leader

Scopriamo questi due personaggi e cerchiamo di capire insieme dove e come si collocano nella realtà lavorativa contemporanea

Il Self Made Man: l’uomo che si è fatto da solo e che non ha dovuto chiedere mai

Cammina spavaldo, al bar dispensa consigli spesso non richiesti anche a chi non conosce e le sue attività, le sue scelte e le sue storie sono sempre migliori di quelle degli altri.

Perchè lui è così: s’è fatto da solo.

“Io non ho mai chiesto niente a nessuno” – “A me nessuno ha mai insegnato come fare, ho imparato da me”

Queste sono solo alcune delle frasi celebri del tipico Self Made Man che, da un lato, contengono una piccola parte di verità ma che, dall’altro, mostrano una vera grande bugia.

Se quel che diceva Thomas Merton “Nessun uomo è un’isola” è vero, di conseguenza anche il “mi sono fatto tutto da solo” o il più elegante “è tutto merito mio se sono arrivato fin qui” è una grande, immensa bugia.

Di certo il coraggio del singolo nell’intraprendere un viaggio imprenditoriale senza avere solide basi di partenza è una cosa che va riconosciuta, ma il credere di avercela fatta da soli è una convinzione sbagliata.

Nel mondo del commercio e dell’imprenditoria quel che fa grande una azienda sono gli incontri: voluti o fortuiti con le persone giuste al momento giusto, o quell’unico dipendente carismatico che andando di casa in casa, di ufficio in ufficio e di negozio in negozio, è riuscito a creare per il Self Made Man una solida rete di contatti e clienti.

E questo solo guardando il lato operativo, perché se ampliamo il nostro raggio visivo vedremo che intorno agli incontri professionali vive un folto gruppo di persone che sono state i veri supporter del sedicente autodidatta estremo.

Giusto per fare qualche esempio, si potrebbe parlare della famiglia che gli ha permesso di studiare e formarsi, quell’amico sempre pronto a dare il consiglio giusto e il supporto anche nei momenti più difficili, e persino quella zia che ha consigliato al nostro boss quel tale commercialista che “credi a’ zia, è davvero bravo!”.

Sono tutti questi piccoli incontri quotidiani che nel lungo periodo portano alla realizzazione personale-aziendale del self made man che però, essendo molto spesso egocentrico, tende a credere di aver fatto tutto da solo.

Il Leader: rapporti sociali, individualismo e empatia al servizio dell’attività

Il leader, al contrario del self made man, sa benissimo quanto i rapporti sociali siano importanti nell’affermazione professionale di una azienda.

Mentre quasi chiunque può riuscire a diventare un self made man, non tutti sono tagliati per diventare leader: di solito ci si nasce con l’attitudine a essere “capogruppo”.

Eppure questo non significa che non sia un mestiere che richiede impegno, dedizione, attenzione e cura.

Perché oltre alle qualità tecniche per essere un ottimo leader (c’è chi giura che sono 7) e alla profonda conoscenza del proprio campo lavorativo, c’è una qualità impalpabile che permette a un capo di essere un incredibile capo: l’empatia.

Empatia è il saper ascoltare gli altri e riuscire a entrare in contatto con loro fornendo a questi compagni di viaggio, vita e lavoro, gli strumenti e le idee per risolvere i problemi che si presentano.

Ascoltare e fornire supporto crea nel team che circonda il nostro leader una sorta di misteriosa aura di rispetto e fiducia che porta ogni singolo individuo a sentirsi parte attiva nelle decisioni e nelle attività di tutti i giorni.

Ed è proprio qui che viene a galla la differenza sostanziale fra le due figure: il self made man si impone e si autoproclama re del suo regno, mentre il leader viene scelto in maniera quasi del tutto inconsapevole.

E sempre per questo motivo, come ci sarà facile immaginare, il primo è quasi sempre odiato mentre il secondo gode del supporto del suo entourage.

Questa può sembrare un’inezia ma è ciò che trasforma un ambiente lavorativo invivibile in uno sereno, nel quale ci si sente più liberi e si produce di più e meglio.

Leadership e pandemia: si può continuare a essere degli ottimi leader anche ai tempi dello smart working?

Questo ultimo anno ha messo a dura prova i lavoratori di tutto il mondo e insieme a loro, anche i leader che, se come mansione principale hanno quella di ascoltare i loro colleghi, ora che questi sono costretti a casa dallo smart working ci si chiede se è possibile continuare a essere buoni leader proprio quando i colleghi “non ci sono più”.

Vi garantiamo che è possibile.

O meglio, ce lo garantiscono Chris Lewis e Pippa Malgren che nel loro ultimo libro da poco pubblicato “The infinite leader”, raccontano come sia possibile continuare a svolgere bene la propria mansione di leader anche in piena pandemia.

I concetti chiave sono molti, ma fra questi due spiccano sugli altri: l’autocritica e il miglioramento personale.

Il consiglio che viene dato ai leader è quello di monitorare le loro strategie di inclusione, ascolto e di problem solving e eventualmente migliorarle.

Anche a distanza si può essere vicini: chiamare i membri del proprio team, aiutarli a risolvere i piccoli problemi pratici imposti dal lavoro a distanza e, se necessario, essere pronti all’ascolto anche sul piano personale. Può sembrare banale, ma chi di noi riceve aiuto da qualcuno in un momento di difficoltà personale, poi tende a essere, per così dire, riconoscente.

Certe volte, uscire dal proprio abito professionale e dimostrarsi amici si rivela premiante.

Sbagliando si impara: l’ansia da prestazione è controproducente

Tutti noi sul lavoro vorremmo essere perfetti. Sbagliare il meno possibile per evitare di essere ripresi è ciò a cui punta la maggioranza dei lavoratori.

Eppure, non sbagliare mai non è sempre una scelta giusta.

Questo perché dagli errori si impara. Una squadra, quando perde una partita, si ritrova il martedì sera in palestra e cerca di analizzare insieme al proprio capitano e allenatore l’andamento del match per capire dove si è sbagliato, che tipo di errore è stato fatto e cosa fare per migliorarsi. Poi si alza e riprende gli allenamenti con una consapevolezza diversa e un focus più mirato e con maggiore determinazione.

Così nelle aziende.

Una scelta sbagliata non deve essere stigmatizzata e cucita sulla persona che l’ha commessa, ma anzi va discussa con il team proprio per capire come migliorarsi. Dalla comunicazione alla parte operativa, questo il leader dovrebbe sempre tenerlo a mente per aiutare i suoi colleghi a lavorare in un ambiente stimolante liberi dalla sensazione di inadeguatezza che un fallimento professionale può lasciare intorno a sé.

Per concludere potremmo dire che la leadership è quella qualità, quell’attitudine che fa diventare grande un’azienda ma che, per far si che ciò avvenga, anch’essa va curata e migliorata in un’ottica di continua crescita personale e professionale.

E poi com’è noto, suddividere il peso del lavoro e delle responsabilità, migliora la qualità della vita a tutti.

Quindi ricordiamoci che ascolto, condivisione e collaborazione faranno di noi dei buoni leader, e che anche così non fosse, faranno comunque di noi delle persone migliori.

Articolo di Ilaria Calcagnolo