Negli anni l’attenzione verso la sostenibilità si è fatta sempre maggiore e la recente nascita del movimento Friday for future ha sviluppato nuove consapevolezze a livello globale.

Ora più che mai l’occhio del mondo guarda verso nuove prospettive di sviluppo sociale che riescano a essere sostenibili per il nostro ecosistema. Da queste necessità nasce la volontà di abbandonare il consumo lineare per spingersi verso un’economia di tipo circolare.

Cos’è l’economia circolare?

Spesso si pensa alla sostenibilità solo in termini di raccolta differenziata, eliminazione degli sprechi e riduzione delle emissioni di CO2. In realtà, sebbene fondamentali, queste pratiche rappresentano solo l’apice dell’economia circolare.

Il modello, opposto al sistema lineare tipico della società dei consumi e orientato alla produzione sfrenata, cerca di mantenere un prodotto all’interno del sistema per la maggior parte del tempo possibile.

Va da sé che l’economia circolare non riguarda solo il raggiungimento di piccoli obiettivi ecologici e sostenibili ma mira a rivoluzionare la società e le sue abitudini di consumo.

I valori del nuovo sistema


L’economia circolare punta a utilizzare energie rinnovabili e materie prime che possano essere riciclate, rinnovate e che siano biodegradabili attraverso i loro svariati cicli di vita.
Secondo questo nuovo sistema, la proprietà del prodotto rimane nelle mani di chi lo crea e il bene di consumo si trasforma perciò in un servizio che viene offerto in prestito al cliente per poi essere riconsegnato all’azienda ed entrare in un nuovo ciclo.

Prima di esaurire la sua vita, un prodotto può rimanere a lungo all’interno del mercato attraverso logiche di prestito e di riutilizzo come quelle dei negozi dell’usato e del car-sharing. Inoltre, un bene di consumo, prima di essere buttato, può essere riparato o rigenerato: questa accortezza, infatti, permette di estendere il ciclo di vita dei prodotti, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Solo dopo aver esaurito le sue possibilità di utilizzo, il prodotto viene smembrato e i suoi materiali riciclati per assumere nuova forma e nuova vita.

Le aziende, dal canto loro, dovrebbero ridisegnare i sistemi di produzione puntando su materiali riutilizzabili e garantendo la massima efficienza energetica.

Quali sono i vantaggi?

Una riprogrammazione dei processi produttivi industriali permetterebbe di ridurre le emissioni di gas inquinanti. Un fattore, questo, che permetterebbe di raggiungere dei livelli di ecosostenibilità maggiore e tutelare quindi il nostro ambiente.

Attraverso il riciclo e il riutilizzo di materiali biologici ritornano nella biosfera mentre i materiali non biodegradabili vengono utilizzati per dare vita a nuovi prodotti. In questo modo non sarebbe più necessario continuare ad attingere compulsivamente ai capitali naturali che verrebbero invece tutelati e ricostruiti.

Quali barriere ci sono?


Se ci sono tutti questi vantaggi viene da chiedersi perché non sia stato ancora adottato questo tipo di economia.

In realtà, nonostante la prospettiva sembri idilliaca, per il settore industriale ci sono tante barriere tecnologiche e sociali che limitano notevolmente l’accettazione del nuovo sistema.

Molte industrie sono disinformate o male informate, non posseggono quindi le informazioni necessarie o la consapevolezza per affrontare il cambiamento; altre non hanno i capitali per acquistare nuovi macchinari o ritengono troppo rischioso l’investimento.

Infine, come ciliegina sulla torta, le linee guida politiche troppo deboli o incoerenti non aiutano le imprese ad acquisire coraggio.

Quali sono le norme vigenti in Italia?

A settembre 2020 in Italia è entrato in vigore il d. lgs. 116/2020 meglio conosciuto come Decreto Rifiuti. Al suo interno si inseriscono alcune direttive europee che fanno parte del Pacchetto Economia Circolare e dettano norme sullo smaltimento dei rifiuti.

Uno dei maggiori cambiamenti introdotti riguarda la responsabilità dell’inquinamento di un bene che ora ricade sul produttore in termini finanziari. Questa scelta vuole sensibilizzare i produttori all’utilizzo di materiali totalmente riciclabili e stimolarli alla progettazione di prodotti riutilizzabili.

Quali azioni sono state già attuate?

Secondo i dati emersi dal Circular Economy report realizzato dal Circular Economy Network in collaborazione con ENEA, (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), l’Italia ha le migliori performance di circolarità nel settore della produzione rispetto a Germania, Francia, Spagna e Polonia.

Raggiungiamo il gradino più alto del podio anche per quanto riguarda la produttività delle risorse e il campo delle energie rinnovabili.

Sebbene il panorama possa sembrare roseo per ricredersi basta considerare il dato sull’eco-innovazione che è sceso di ben 8 punti. Se poi si fa riferimento al report redatto dall’Energy & Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano emergono altri dati poco rassicuranti.

Nonostante oltre la metà delle aziende intervistate abbia migliorato le sue iniziative in campo di economia circolare, soltanto una piccola parte ha effettivamente riconfigurato la sua progettazione dei prodotti in modo da renderli totalmente riutilizzabili e riciclabili.

La popolazione cresce a ritmi vertiginosi e il nostro ecosistema non è più in grado di sostenerla. Per far fronte a futuri scenari drammatici, il parlamento europeo ha firmato il Green Deal, un patto che prevede il raggiungimento della neutralità climatica e dell’azzeramento dei gas inquinanti entro il 2050.

L’unico modo possibile per raggiungere questi obiettivi è lo sviluppo dell’economia circolare.

Affinché questo cambiamento possa avvenire e radicarsi è necessario che le aziende collaborino per la costruzione di un sistema più attento al processo produttivo.

L’operato delle imprese rimane comunque marginale se la popolazione non cambia il suo approccio al mercato del consumo orientandosi verso pratiche di riutilizzo e condivisione.

Un altro mondo è possibile ma bisogna lavorarci.

Articolo di Eleonora Orrù