L’ex manager di Vodafone Vittorio Colao, ora ministro della Transizione digitale, immagina il cloud come l’infrastruttura chiave per la circolazione delle informazioni tra gli enti pubblici. Già in passato, Colao aveva presentato un piano con lo scopo di ottimizzare i data center e rendere le banche dati interoperabili.
Nel 2019 un censimento del team per la trasformazione digitale, guidato dal commissario Luca Attias, aveva registrato all’incirca 11mila data center sul territorio italiano, allo scopo di servire 22mila enti pubblici. Questi centri, nonostante fossero di piccole dimensioni, costavano alle casse italiane circa 2 miliardi di euro, un terzo del totale della spesa pubblica per l’informatica. A partire dall’anno scorso è iniziato il processo di razionalizzazione: 35 enti sono stati considerati idonei per entrare a far parte del polo strategico nazionale del cloud. Sono stati scelti da un campione di 1.252 centri associati ad un migliaio di enti, dagli uffici centrali dello Stato alle università.
Il futuro del cloud in Italia sarà ora determinato dal piano del ministro Colao, supportato da fonti provenienti dal programma Next Generation EU.
Cosa prevede il piano del ministro Colao
Il piano, le cui linee sono state tracciate fino al 2026, prevede la dotazione della banda larga a tutte le famiglie, alle scuole e ai presidi sanitari. Inoltre, ci sarebbe il trasferimento di tutti i principali servizi al cittadino online, che permette di dare all’80% della popolazione identità e domicilio digitale, creando un fascicolo sanitario elettronico omogeneo.
Tra gli altri punti fondamentali del piano, troviamo anche la copertura con il 5G di tutte le aree popolate. Per realizzare il progetto, si parla della creazione di percorsi didattici per insegnare competenze digitali, soft skill, problem solving e investire sulle materie Stem (scienze, tecnologie, ingegneria e matematica).
Il piano prevede anche investimenti sul cloud, con un modello flessibile per enti pubblici centrali e locali, sistemi interoperabili ed elevati standard di sicurezza. Per portare tutto ciò a compimento, sarà necessaria la razionalizzazione dei centri per l’elaborazione dati, nonché una configurazione definita per il polo strategico nazionale.
Per decidere la configurazione del polo strategico nazionale sarà fondamentale non tanto il gruppo di data center su cui appoggiare l’architettura cloud del pubblico, quanto chi gestirà il cloud stesso. Bisognerà trovare un operatore o gruppo di operatori a cui affidare la gestione, che stia sotto Gaia-X, ovvero l’alleanza europea per fissare standard comuni per il cloud a cui sottostiano anche i colossi mondiali del settore, come Amazon, Google, Microsoft e Alibaba. L’idea promossa dal ministro Colao è quella di un modello flessibile, con la collaborazione di pubblico e privato.
La situazione attuale sul territorio italiano
Il cloud sul territorio italiano sta diventando sempre più forte: lo scorso gennaio Aruba, il più importante operatore nazionale del settore, si è alleato con Leonardo, azienda specializzata in apparati di difesa. In questo modo, da un lato troviamo un’offerta di hosting e data center, dall’altra le tecnologie di sicurezza informatica.
Nel corso dello stesso mese, dopo aver stretto patti con Google, Tim ha presentato Noovle, un’offerta controllata per presidiare il cloud, che prevede sei data center e servizi pensati per gli enti pubblici. Non sono però gli unici: anche Poste ha inserito nel suo piano industriale per il 2024 investimenti strategici sul cloud.
Dobbiamo, tuttavia, fare i conti anche con l’altra faccia della medaglia, ovvero la razionalizzazione dei data center pubblici. L’Agenzia per l’Italia digitale, o Agid, ha condotto uno studio a riguardo e ha riportato nelle proprie analisi che i data center sul territorio non solo siano troppi e poco efficienti, ma spesso neanche ben protetti dai rischi informatici.
Questa frammentazione è da considerarsi un male anche per la condivisione intelligente dei dati, a cui aspira il piano per la trasformazione digitale ideato da Colao. Ciò a cui si aspira è un modello di platforming, in cui troviamo al centro bacini di informazione connessi a strutture periferiche dello stato allo scopo di sfruttare servizi in cloud e conferire dati.
Al momento, data la situazione dovuta alla pandemia di Covid-19, sul territorio italiano non ci sono ancora stati grandi cambiamenti. Pietro Pacini, direttore di Csi Piemonte, uno dei 35 centri di livello nazionale presi in considerazione per il polo strategico nazionale, ha affermato che il 2020 abbia messo a dura prova la tenuta di questi sistemi, con un aumento del traffico di almeno sei volte dall’inizio della crisi sanitaria, a cui sono riusciti a far fronte potenziando le infrastrutture di pari passo con progetti di espansione precedenti.
Articolo di Chiara Pozzoli
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