Non ci si stanca mai di dirlo: l’esperienza vissuta con la pandemia globale ci ha cambiati. Nell’ultimo anno i vari lockdown ci hanno costretti a casa, e se non erano le restrizioni ad impedirci di uscire, è stata la paura a non farci muovere.
Se infatti è immediato associare la parola Covid a una delle più catastrofiche sindromi respiratorie degli ultimi decenni, la conseguente clausura forzata ha avuto l’effetto collaterale di sviluppare in gran parte della popolazione la cosiddetta sindrome della capanna o del prigioniero che determina una grande paura di uscire e lasciare la propria casa.
Per l’industria dell’intrattenimento e ancora di più per quella della cultura il risvolto pratico è stata una crisi drammatica per entrambi i settori. Il settore della ristorazione, considerato uno dei maggiormente colpiti dalla crisi, ogni tanto, tra una riapertura e l’altra è riuscito a vedere qualche sprazzo di luce, ma nel frattempo musei, biblioteche, sale concerti e cinema sono stati ritenuti non essenziali e di conseguenza sono rimasti immobilizzati.
Se da un lato i lavoratori erano e sono ancora impossibilitati a lavorare. la domanda che in tanti si sono fatti è: come si comporteranno gli utenti dei servizi quando ritorneranno a un regime di vita normale? Saranno in grado di fruire di cultura e intrattenimento come prima?
Da molti la soluzione a queste problematiche è stata trovata nella digitalizzazione dei servizi attraverso l’utilizzo di Cloud e Data Center. Una chiave questa che rappresenta anche lo strumento in grado di avvicinare le nuove generazioni alla fruizione della cultura attiva e consapevole: non è un caso infatti se la scuola si è avvicinata al social reading.
A che punto sono i musei nella corsa alla digitalizzazione?
Che l’Italia sia indietro in materia di digitalizzazione ce l’ha dimostrato la pandemia soprattutto per quanto riguarda la fruizione della DAD – acronimo con il quale è conosciuta la didattica a distanza.
Purtroppo questa lacuna non appartiene unicamente alla didattica ma anche al settore culturale e più particolarmente ai musei: secondo i dati Istat del 2018 (quindi pre pandemici) soltanto l’11% dei musei statali aveva effettuato la catalogazione digitale, meno del 50% dei musei ha un sito internet, oltre il 60% possiede un account social e meno del 10% offre la possibilità di fare una visita guidata virtuale.
Le motivazioni di questi numeri sono da attribuirsi alla mancanza di personale specializzato, di progetti e di contenuti. La crisi vissuta ha messo in moto dei processi di accelerazione che possono condurci verso un futuro più roseo per quanto riguarda la fruizione della cultura.
Il Mibact ha infatti strutturato un piano per la digitalizzazione del patrimonio culturale italiano, che va a braccetto col piano di digitalizzazione delle famiglie, proposto da Vittorio Colao, ex manager Vodafone e ora ministro della transizione digitale. Il piano Mibact non può infatti funzionare senza che venga predisposta un’adeguata digitalizzazione di tutti i servizi e ancor prima vengano dati gli strumenti al cittadino per accedervi.
Il piano prevede infatti, tra le altre cose, la dotazione della banda larga a tutte le famiglie, alle scuole e ai presidi sanitari e anche la copertura con il 5G di tutte le aree popolate. A fianco di queste realizzazioni più pratiche c’è anche la volontà di istituire dei percorsi didattici che possano insegnare competenze digitali, insomma la nuova alfabetizzazione.
Mibact e il suo piano triennale verso il “netflix” della cultura
Il ministro per i beni culturali Dario Franceschini ha affermato che dieci miliardi di euro saranno stanziati per lo sviluppo di una piattaforma digitale pubblica, la cosiddetta “netflix della cultura” che mira a presentare tutta l’offerta culturale del territorio Italico a tutto il mondo, ovviamente previo pagamento come ogni piattaforma streaming on demand che si rispetti prevede.
Non è giusto però semplificare e parlare unicamente di streaming, d’altronde questa non è una strategia di marketing ma un piano per rilanciare la cultura attraverso la volontà di attuare soluzioni digitali a molteplici processi. Il piano triennale mira anche a sviluppare modelli in 3d che possano essere utilizzati in esperienze di gaming e di realtà aumentata, una soluzione che se concretizzata potrebbe attrarre i più giovani che oggi passano gran parte del tempo ai videogiochi (non a caso è sempre più in aumento l’utilizzo di Twitch).
Al gaming si affiancherà una forte personalizzazione dell’esperienza attraverso l’utilizzo di tecnologie che sfruttano la geolocalizzazione e i sensori di prossimità: il Mibact vuole far sentire il cliente veramente importante attraverso la creazione di guide museali personalizzate.
Non viene lasciato da parte nemmeno lo storytelling una risorsa sempre più importante nella comunicazione dei propri servizi. Il Mibact infatti vorrebbe puntare su una narrazione delle opere piuttosto che continuare con la semplice presentazione; questo meccanismo porterebbe sicuramente a un aumento dell’engagement del pubblico che sarebbe conquistato dalle storie affascinanti del nostro amato Bel Paese.
Ovviamente per riuscire a realizzare tutti i progetti del piano sarà necessaria un’infrastruttura in grado di reggere il grande flusso di big data e il monitoraggio della customer satisfaction. A tutte queste pratiche innovative si aggiunge una più snella gestione dei meccanismi di ticketing e commercializzazione in modo da garantire una customer experience ad altissimi livelli anche nella vendita.
Forse i puristi saranno rimasti un po’ interdetti da queste soluzioni, ma così come un ebook non ha mai sostituito il profumo di un vecchio libro, un’esperienza digitale non sostituirà una passeggiata a villa Borghese.
Bisogna però fermarsi a considerare che la digitalizzazione della cultura potrebbe essere l’unica soluzione che può salvare l’intero settore dall’immobilismo e dalla crisi che sta attraversando.
Articolo di Eleonora Orrù
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