Quando si parla di Social, molto spesso si identificano come tali delle agorà virtuali nelle quali ognuno di noi è libero di esprimersi e di dire, o meglio, scrivere ciò che vuole.

Con tutto quel che ne segue: dalle opinioni poste in maniera educata e velata fino ai veri e propri insulti, anche personali, nei confronti di chi prende parte a una qualsivoglia discussione.

I fatti di Capitol Hill e la libertà di pensiero e espressione: quanto può risultare pericolosa?

Questo continuo crescendo di insulti, incitazione all’odio e alla violenza ha portato lo scorso 6 gennaio all’ormai tristemente famoso assalto al Campidoglio che ha visto morire ben 5 persone durante la rivolta di Capitol Hill.

Quanto successo è accaduto, almeno apparentemente, soprattutto per mano dell’allora presidente uscente Donald Trump che, in suo post pubblicato sulle varie piattaforme social, incitava i suoi sostenitori ad attaccare la democrazia e a non permettere l’insediamento del nuovo presidente democraticamente eletto Joe Biden.

L’episodio, oltre ad aver causato lo sdegno di molti, ha creato una vera e propria bufera mediatica e ha fatto sì che i principali Social Network decidessero di chiudere o sospendere a tempo indeterminato gli account di The Donald.

Solamente Twitter ha deciso di revocare il ban trascorse le canoniche 12 ore di oscurazione e rendere nuovamente attivo il profilo, mentre tutti gli altri (Facebook, Instagram e Twitch) ancora non hanno dato il loro “via libera” alla riabilitazione.

Da quel 6 gennaio di tempo ormai ne è passato, e per decidere le sorti dei profili social (per lo meno per quello del gruppo di Menlo Park) di Trump si è scelto di affidarsi al giudizio della Oversight Board, il colossale comitato di esperti assemblato da Facebook per valutare indipendentemente le decisioni più controverse in materia di moderazione dei contenuti.

Zuckerberg, che all’epoca aveva sostenuto che i rischi di lasciare libero l’ex presidente sulla propria piattaforma fossero troppo grandi; ha quindi chiesto a 5 dei 20 esperti facenti parte della Oversight Board di decidere del futuro degli account di The Donald soppesando diritto internazionale e termini d’utilizzo aziendali.

Questa “Giuria dei Cinque” soppeserà quanto accaduto e deciderà il da farsi seguendo due principi fondamentali: un forte impegno per la libertà d’espressione e la grande enfasi sul fatto che Facebook abbia reso le sue politiche sufficientemente chiare per gli utenti, cosa non necessariamente così scontata.

È proprio la scelta di quest’ultimo criterio che vuole essere un invito da parte della Oversight Board a FB di rivedere, chiarire e rendere trasparenti le proprie regole e condizioni d’uso, così che in futuro non si vengano neppure a creare situazioni analoghe.

Oversight Board e diritto internazionale: quanto un’azienda tecnologica ha il potere di fare censura

Eppure, nonostante questa legittima richiesta di chiarezza, c’è chi ritiene che il blocco a tempo indeterminato della voce digitale di Donald Trump non sia altro che un modo come un altro per impedirgli di esprimere le proprie opinioni: per dirla in modo cristallino, una vera e propria censura.

Su questo particolare tema il fondatore stesso di Facebook si è espresso, facendo sapere al mondo quanto sia nell’interesse della piattaforma il concedere quanto più possibile la libertà di espressione, non facendo caso a chi è ad esprimersi, così da poter garantire al pubblico “il più ampio accesso possibile ai discorsi politici, anche a quelli più controversi”, il tutto ovviamente nel pieno rispetto delle leggi vigenti. Cosa che Trump purtroppo non ha fatto, dato che promuovere, incitare e fomentare una rivolta violenta contro un presidente democraticamente eletto sia reato.

In favore di questo giudizio per la non disattivazione a tempo indeterminato dei profili del 45° presidente degli USA si sono schierati in molti: da Angela Merkel a Narendra Modi, da Nick Clegg a Andres Manuel Lopez Obrador presidente del Messico, fino anche a Walter Quattrociocchi, professore di Data Science and Complexity for Society all’Università La Sapienza di Roma.

Si dicono tutti timorosi di bandire per sempre Trump da Facebook perché ciò significherebbe e mostrerebbe chiaramente “quanto le aziende tecnologiche abbiano il potere di vietare i leader eletti e di fare censura, pilotando a loro volta l’opinione pubblica” e, ancora più grave, questa decisione sarebbe in contrasto deontologico con quello che è l’auto proclamarsi piattaforme free speech nelle quali ognuno dovrebbe poter parlare liberamente.

In conclusione si potrebbe dire che se da un lato la linea di confine tra libertà di pensiero e legalità può essere molto sottile e difficile da individuare, i fattori da prendere in considerazione sono molti e di grande peso.

Qualsiasi sia il verdetto finale della giuria della Oversight Board, la verità -come insegnano le nonne- sta nel mezzo.

E forse dovremmo imparare a costruire una società nella quale si possa essere allo stesso tempo combattenti per la libertà e sostenitori pacifici della legalità.

Riguardo a quel che ne sarà degli account trumpiani, il futuro rimane incerto: non ci resta che attendere.

Articolo di Ilaria Calcagnolo