Essere disabili nel 2021 non dovrebbe più essere fonte di difficoltà e problemi.
Eppure, non è così.
Oltre alle più note barriere architettoniche che limitano di molto la libertà di movimento a queste persone, ne esiste una di cui non si parla quasi mai e che nell’epoca dell’onlife, come la definirebbe il filosofo Luciano Floridi, dove tutto corre alla velocità della fibra ottica non dovrebbe esistere.
Queste barriere digitali sono un vero e proprio scoglio per le persone con disabilità che per colpa di questo gap vedono limitarsi ancora di più le proprie autonomie e potenzialità, ed è proprio al miglioramento di questa condizione che gli stati facenti parte dell’Unione Europea stanno lavorando.
Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Disabilità e tecnologia dagli anni ‘80 ad oggi: com’era e cos’è cambiato
Se è vero che il mondo digitale è ancora disattento alle necessità dei diversamente abili, va fatto presente che la nascita dei primi dispositivi e delle prime periferiche per disabili risale agli anni ‘80 del secolo scorso.
All’epoca questi macchinari tecnologici erano frutto di una produzione su misura e quindi, anche il solo ricevere una sedia a rotelle potenziata non solo era difficile ma anche molto costoso. Il che rendeva ancora più difficile a queste persone riappropriarsi delle proprie libertà.
Poi, con l’avvento della Digital Era, molto è cambiato: la tecnologia è progredita molto velocemente con proposte sempre più mirate e prestanti e l’accessibilità è diventata tema centrale di qualsiasi governo.
Ad esempio, nel nostro Bel Paese a partire dal 2004 la legge Stanca ha previsto che tutti ciò che riguarda le PA sia accessibile anche alle categorie protette e non solo a livello di consultazione dei documenti ma anche nell’obbligo di inserimento nel mondo del lavoro.
Lo sforzo quindi è stato fatto anche se, purtroppo, non è stato sufficiente a colmare questo vuoto di accessibilità digitale.
Ora che gli stati membri si sono accorti che quanto fatto non è bastato si è deciso di virare verso un futuro imminente che sia davvero inclusivo per tutti e che sia di supporto al miglioramento dello sviluppo delle potenzialità, delle attitudini e delle autonomie anche per le persone disabili che, per inciso, solo nel nostro paese sono 3 milioni e 150 mila (dati aggiornati al 2019): non proprio una cifra trascurabile dato che si traduce nel 5,2% della popolazione.
Accessibility Act: dal 2022 inizia la corsa all’inclusione
Quindi, con questo focus, è stato firmato l’Accessibility Act che riguarda tutto l’universo digital e che prevede, con la sua entrata in vigore dal 2022, che tutte le aziende (pubbliche e private) rendano accessibili tutti i loro prodotti entro e non oltre il 2030.
Ma come si può fare per riuscire a far rispettare questo limite temporale?
La soluzione è una: chi non si adegua agli standard fissati dall’Accessibility Act potrà essere soggetto a una multa pari al 5% del fatturato aziendale.
Quindi, a partire dall’anno prossimo, avere un sito web non accessibile a persone con disabilità potrà costare parecchio a voi in termini monetari, e molto alla reputazione della vostra azienda.
E quindi, nella pratica, cosa si può e si deve fare per rendere accessibili il proprio sito e i propri prodotti?
Prima di tutto sarà necessario rivolgersi a dei consulenti specializzati per strutturare al meglio l’interfaccia dei siti e per digitalizzare eventuali documenti: attività che può essere tradotta con l’espressione “miglioramento della user experience”.
Poi si dovrà redigere documenti con degli editor specifici che permettano il salvataggio in formato pdf, così da poterne preservare le caratteristiche di accessibilità come ad esempio la leggibilità degli stessi tramite software di riconoscimento del testo.
Migliorare le infografiche inserendo link a spiegazioni audibili così da renderle fruibili per tutte quelle persone con grandi carenze visive o affette da cecità.
E ancora, fare attenzione all’uso del testo alternativo nelle foto, ai colori scelti e via dicendo.
Molto si potrà fare e l’esempio lampante è il progetto portato avanti in Italia dalla RAI che, guardando avanti, nel centro Ricerche e innovazione di Torino sta studiando software che sia in grado di tradurre autonomamente il linguaggio vocale in linguaggio dei segni così da rendere l’informazione veramente pubblica per tutti.
Il direttore del dipartimento, Gino Alberico, spiega:
“Stiamo lavorando da cinque anni a un sistema di traduzione che abbiamo già impiegato per realizzare le audioguide del museo Radio e tv che ha sede in città. Oggi stiamo facendo degli esperimenti con il meteo, i cui bollettini, per definizione, quando vengono letti da ufficiali dell’Aeronautica, prevedono un vocabolario limitato: abbiamo un tasso di riuscita vicino al cento per cento”.
Per riuscire in questa impresa titanica, fa sapere Alberico, ci si avvale anche di enti esterni come le scuole che possono registrarsi liberamente alla piattaforma dedicata per ampliare il dizionario della LIS così che le reti neurali possano imparare a comunicare con quante più persone possibile grazie all’AI.
Ed è proprio dalle scuole che dovrebbe partire il vero progetto di inclusione e di accessibilità ed è qui che sarà possibile vedere i primi veri risultati dell’Accessibility Act anche grazie a fondazioni no profit come ASPHI, che dal 1979 scommette sul fatto che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione possano essere impiegate per favorire l’inclusione delle persone con disabilità in tutti i contesti di vita.
Con l’approccio di ricerca in azione promosso da ASPHI e che di sicuro ispira il progetto Rai, computer e tecnologie assistive diventeranno uno strumento di supporto per l’intera classe e non solo per il bambino con bisogni educativi speciali. Quindi via libera all’introduzione nelle scuole di Lavagne Interattive Multimediali (le LIM per i non addetti ai lavoro) e ai nuovi digital device come iPad, tablet, tavoli tattili, cloud computing e via dicendo.
Noi di Coffee Bytes siamo convinti che la vita debba essere vissuta appieno e al massimo delle capacità che ogni individuo porta con sé. E siamo certi che con questo progetto si porranno le basi per una società che diventerà migliore.
In fondo, se ci si pensa bene, la disabilità esiste solo negli occhi di chi NON guarda.
Articolo di Ilaria Calcagnolo
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