Nel nostro mondo iperconnesso vietare l’accesso alla banda larga e “spegnere internet” sarebbe veramente un crimine. Impedire le comunicazioni ordinarie, bloccare lo shopping online e, conseguentemente, anche l’economia sono cose che molti di noi non riescono neppure a immaginare e che fanno davvero innervosire.

Eppure, questa pratica sta prendendo sempre più piede e se per la maggioranza di noi questa è solo una lontana, lontanissima ipotesi, ci sono paesi che vivono questa condizione quasi giornalmente.

Rete non disponibile: i dati e i motivi in pillole

Stando ai dati forniti da Access Now, l’organizzazione no profit che si occupa del monitoraggio della continuità delle reti internet e della rispettiva accessibilità da parte delle popolazioni, emerge che solamente durante il 2020 i governi di ben 29 paesi sparsi ovunque nel globo hanno limitato, rallentato o addirittura bloccato l’accesso alla rete almeno 155 volte.

I motivi di questi blocchi sono i più disparati e spesso vengono presentati alle popolazioni dei suddetti stati come guasti tecnici o per prevenire atti violenti e per limitare l’odio online. Ma la verità è ben diversa: “spegnere internet” è, di fatto, una vera e propria limitazione delle libertà personali, come il diritto alla libera espressione e il diritto all’informazione, e fa sì che questa tecnica venga utilizzata da alcuni Stati con l’unico obiettivo di nascondere l’instabilità politica, la volontà di reprimere i gruppi di opposizione e di contrastare proteste di piazza, o anche di rivendicare una vittoria in elezioni contestate.

I governi che nel 2020 hanno portato avanti questa pratica, e che in alcuni casi stanno continuando a farlo, sono:

  • India: in cima alla classifica per aver bloccato e limitato l’accesso alla rete per 109 volte consecutive, soprattutto nella regione del Kashmir dove questi blocchi si sono ripetuti a intervalli regolari di 15 giorni.

  • Burundi

  • Ciad

  • Etiopia: qui a causa del conflitto nell’area del Tigray, più di 100 milioni di persone sono rimaste senza internet in piena pandemia, limitando così anche l’arrivo di medicinali, attrezzature mediche e aiuti umanitari.

  • Guinea

  • Kenya

  • Mali

  • Sudan e Tanzania

  • Algeria e Egitto

  • Togo e Uganda

  • Myanmar: la giunta militare che ha preso potere con un golpe a inizio febbraio oltre ad aver incarcerato la leader democratica e premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi, ha da subito limitato l’accesso a internet in molte zone del paese proprio come forma di repressione dei contestatori

  • Bangladesh

  • Kirghizistan

  • Pakistan e Vietnam

Certo, queste regioni del mondo ci suonano piuttosto lontane e ci verrebbe da pensare che questo tipo di pratiche oscurantiste da noi non possano accadere mentre invece non è così: si sono infatti registrati limitazioni della banda e blocchi anche in America e Europa. La lista così si allunga inesorabilmente:

  • Cuba

  • Ecuador e Venezuela

  • Iran

  • Iraq

  • Giordania, Siria

  • Turchia e Yemen

  • Bielorussia: così vicino a noi che ne seguiamo le vicende politiche nei nostri TG nazionali. Qui, a seguito del risultato delle elezioni elettorali vinte nuovamente da Alexander Lukashenko, disordini sommosse e proteste civili sono ancora attive mentre la rete internet funziona a singhiozzo.

Per quel che riguarda il 2021, invece, si è visto l’ingresso in questa triste classifica anche della Russia che, come conseguenza del caos creato dal caso Navalny, ha tentato di rallentare l’accesso alla piattaforma Twitter.

Ma come si può rallentare, limitare o addirittura bloccare e oscurare la rete internet in uno stato intero?

I metodi sono diversi ovviamente in base a quale e quanta parte di rete si vuole effettivamente bloccare.

Si può “spegnere internet” solo in alcune regioni o oscurare determinati siti.

Si può decidere di limitare solo una tipologia di rete e di lasciarne invece altre funzionanti.

Gli stati possono anche limitare la velocità della connessione, come nel caso dell’India che nel 2019 nella regione del Kashmir limitò la banda per i dati mobili al 2G, rendendo difficile lo scambio di immagini e video.

Per onor di cronaca, va segnalato che i governi che scelgono di imporre queste limitazioni spesso utilizzano più di uno di questi sistemi in combinata.

Le conseguenze

Il problema (e la paura) più grande, oltre a quello che deriva dalla limitazione della libertà personale si intende, è che durante i momenti di “buio” più lunghi gli eserciti di alcuni stati possano sfruttare questi vuoti per compiere dei veri e propri raid nei confronti della popolazione che, inesorabilmente, come in ogni guerra è la parte che paga il prezzo più alto.

In aggiunta a queste barbarie possiamo trovare anche un lato pratico che di fronte a comunicazioni e economia bloccate, come spiegato da Jason Pielemeier, direttore delle politiche del Global Network Institute a “Rest of the world”, azioni come questa sono insostenibili per un lungo periodo perché interessano molti servizi importanti “comprese le comunicazioni del governo”.

Inoltre, AccessNow fa presente quanto questi blocchi siano pericolosi

“perché quando vengono attuati durante una pandemia, una protesta o un conflitto, possono avere conseguenze mortali”.

Arrivati a questo punto sarebbe opportuno riflettere su quanto accade nel mondo e cercare di capire quanto di sbagliato c’è in questo tipo di pratiche e quanto di giusto possa esserci, sempre tenendo conto dei punti di vista di tutte le parti partecipanti, attive o passive che siano e avendo ben chiaro nella mente quel che il grande filosofo Hobbes riassunse in una sola e semplice massima: “Homo Homini Lupus”.

Articolo di Ilaria Calcagnolo